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liminalità

La liminalità è una qualità o uno stato di chi si trova in una soglia tra due fasi, ruoli o stati sociali distinti. Il termine deriva dal latino limen, soglia, ed è stato sviluppato nel contesto degli studi sull’initiation e sui riti di passaggio.

In antropologia, la liminalità è stata teorizzata da Arnold van Gennep e successivamente ampliata da Victor

La liminalità si ritrova non solo nei riti formali di iniziazione, ma anche in molte transizioni sociali:

Critiche e variazioni: la nozione non è universalmente accolta in modo invariabile, può rischiare di ridurre

Turner.
Van
Gennep
descrive
i
riti
di
passaggio
come
un
processo
in
tre
fasi:
separazione,
liminalità
e
incorporazione.
Durante
la
fase
liminale
gli
individui
sono
esperti
come
margine
o
in
uno
spazio
“anti-strutturato”,
temporaneamente
privi
di
identità
sociale
consolidate,
ma
potenzialmente
aperti
a
trasformazioni.
Turner
approfondì
l’idea
di
una
forma
collettiva
di
liminalità
che
genera
communitas,
un
senso
di
solidarietà
egalitaria
tra
partecipanti,
al
di
fuori
delle
gerarchie
ordinarie.
nascita
e
adolescenza,
matrimonio,
pensionamento,
migrazione
o
esilio.
Può
estendersi
a
spazi
fisici
e
culturali
considerati
“in-between”,
come
corridoi,
porte,
aeroporti
o
zone
di
confine,
descritti
come
spazi
liminali
dove
il
tempo
e
l’identità
appaiono
sospesi.
In
letteratura,
cinema
e
studi
culturali,
la
liminalità
è
spesso
usata
per
analizzare
la
mobilità
identitaria,
l’indeterminatezza
e
le
potenzialità
di
trasformazione.
fenomeni
complessi
a
schemi
rigidi
o
coloniali.
Tuttavia
resta
utile
per
descrivere
momenti
di
transizione,
ambiguità
e
potenziale
trasformativo
presenti
nelle
esperienze
umane.